Il “mosaico” della class action italiana: la Legge n. 31/2019.
1. Premessa.
Il 30 maggio 2022 si è svolto, presso l’Università Statale di Milano un interessante convegno sulle azioni collettive (nell’immagine: la locandina dell’evento dal titolo “Le azioni collettive: principi, esperienze ed evoluzioni”), con particolare focus sulle prospettive italiane della Class Action.
In attesa della pubblicazione degli atti del convegno, mi fa piacere sintetizzare alcuni punti principali del mio intervento su quella che può essere definita la Riforma dell’Azione di Classe, contenuta nella Legge n. 31 del 12 aprile 2019, entrata in vigore, dopo vari rinvii, il 19 maggio 2021.
Si tratta di una riforma che ho fortemente voluto da Ministro della Giustizia, molto innovativa sotto molteplici aspetti, che possiamo immaginare come un grande mosaico in cui ogni tassello ha una sua storia e un obiettivo ben preciso.
In particolare, è una norma che parte dall’esigenza di superare tutte le lacune e i limiti della precedente legge (L. n. 99/2009).
Tali limiti emergono con evidenza se solo si analizzano i numeri della sua applicazione, raccolti dall’Avv. Fabio De Dominicis che porta avanti, a fini lavorativi ed accademici, un monitoraggio costante delle azioni di classe in Italia.
Dal 2010 ad ora, le azioni incardinate secondo la precedente legge n. 99/2009 sono 79: di queste, soltanto 25 sono state dichiarate ammissibili, delle quali soltanto 5 azioni sono arrivate ad una sentenza di condanna al risarcimento dei danni.
Sono i numeri chiari del fallimento della precedente disciplina che pure ha avuto il merito di aprire un varco all’interno del nostro ordinamento consentendo un primo ingresso dell’istituto della class action.
Vediamo brevemente quali sono le più importanti differenze, apportate dalla riforma, che dovrebbero portare ad una maggiore e migliore applicazione dell’istituto.
2. Superamento dei limiti soggettivi e oggettivi.
La vecchia disciplina inseriva la class action nel Codice del consumo e, dunque, l’azione di classe era attivabile dai consumatori per azioni aventi ad oggetto una delle seguenti ipotesi: inadempimento contrattuale, danno da prodotto, pratiche commerciali scorrette.
La Legge n. 31/2019 trasferisce l’azione di classe all’interno del codice di procedura civile, introducendo gli artt. 840 bis ss. c.p.c.
Per la prima volta, quindi, l’azione di classe diventa uno strumento generale, attivabile da ciascun elemento della classe (ovvero da un’associazione o organizzazione iscritta presso un apposito elenco presso il Ministero della Giustizia) per ottenere l’accertamento della responsabilità, la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni a tutela di “diritti individuali omogenei”.
Il superamento del pregiudizio contro le imprese.
Mi preme sottolineare che viene così superato l’implicito pregiudizio culturale, sottostante alla vecchia disciplina, secondo cui un’impresa può soltanto subire un’azione di classe e non usufruirne per far valere i propri diritti.
Si pensi, per esempio, alle imprese che hanno subito un danno a seguito di un cartello e che, adesso, avranno tutto il diritto di unirsi e far valere i propri diritti. Si tratta di un’apertura che potrebbe certamente fare la differenza.
3. Costi dell’azione.
La nuova legge compie passi avanti in materia di costi dell’azione, grazie all’introduzione dell’apposito portale presso il Ministero della Giustizia. Sarà sufficiente la pubblicazione sul portale per rendere conoscibile ai terzi interessati l’esistenza dell’azione di classe.
Vengono dunque eliminati i costi per la pubblicità sui giornali (secondo un’impostazione decisamente anacronistica e totalmente inutile) che, secondo la precedente legge, venivano stabiliti dal giudice dopo la dichiarazione di ammissibilità dell’azione.
La completa digitalizzazione dell’azione comporta inoltre una riduzione dell’impatto “fisico” dell’azione sull’infrastruttura giudiziaria (si pensi, soltanto per fare un esempio, alle difficoltà concrete a cui si andava incontro prima relativamente al deposito e alla tenuta dei fascicoli cartacei).
Il ruolo degli studi legali.
Riguardo alle spese legali, dobbiamo specificare che negli USA il ruolo principale di “motore dell’azione” è ricoperto dai grandi studi legali che hanno convenienza e interesse ad investire nell’azione in virtù di un mix di elementi, al momento non replicabile in Italia:
- il patto di quota lite (l’avvocato ottiene un compenso in misura di una predefinita percentuale rispetto al risarcimento ottenuto);
- i risarcimenti punitivi (cioè commisurati, non solo all’entità del danno ma anche alla gravità della condotta del danneggiante);
- il sistema di opt-out(il meccanismo per cui ogni membro della classe ottiene il risarcimento conseguente alla causa anche se non ha partecipato alla causa stessa: il membro della classe, per non ottenere il risarcimento deve esprimersi esplicitamente in tal senso).
Proprio in virtù della sostanziale assenza di tutti questi elementi nell’ordinamento italiano, è ipotizzabile che qui come in Europa, soprattutto in un primo momento (e soprattutto fino a quando non si diffonderà il modello del third party funding) saranno le associazioni a svolgere il ruolo che negli Usa è ricoperto dagli studi legali. Anche la recente direttiva n. 1828/2020 va in questa direzione.
Con questa dovuta premessa, è importante tuttavia chiarire che la Riforma della Class Action compie un passo avanti nell’incentivare il nuovo ruolo che potrebbero assumere gli studi legali.
Nell’art. 840 novies c.p.c. si prevede, infatti, per l’avvocato un compenso premiale quantificato come quota lite, vale a dire in termini di percentuali «calcolate sull’importo complessivo dovuto».
Questa norma, nelle intenzioni del legislatore, è stata certamente ispirata dalla finalità premiale nei confronti dell’avvocato che porta avanti la class action e, contemporaneamente, ha anche lo scopo di fissare un tetto massimo ai compensi degli avvocati.
Cio’ emerge chiaramente dalla lettura dell’art. 840 novies, comma 6, c.p.c., che non prevede la possibilità, per il giudice, di aumentare tale compenso premiale ma soltanto di ridurlo fino al 50%.
Il third party funding.
Sempre a proposito dei costi, il legislatore italiano dovrà affrontare il tema del c.d. third party funding, in base al quale società terze investono nell’azione di classe finanziandola e richiedendo un corrispettivo ai ricorrenti che è spesso definito in termini di patto di quota lite.
Dunque, il ricorrente sa che non spende nulla per l’azione ma se questa va a buon fine una parte importante del risarcimento (per esempio, il 30%) andrà alla società che ha finanziato l’azione.
E’ evidente che questo tipo di business economico si trasformerebbe in un incentivo enorme per la diffusione dell’azione di classe in Italia.
La direttiva n. 1828/2020 non dà un’indicazione precisa in tal senso ma chiede ai legislatori di esprimersi al riguardo.
Al momento, il legislatore italiano non ha dato alcun segnale di merito orientandosi, nella Legge di delegazione europea, verso un recepimento sic et simpliciter della direttiva.
4. Differenze principali nel procedimento tra vecchia e nuova disciplina
a) La nuova fase successiva alla sentenza.
Nella nuova normativa si passa ad un rito assolutamente innovativo in cui, oltre alla fase di verifica dell’ammissibilità e a quella di merito (con il rito previsto dall’art. 702 bis c.p.c.), viene inserita una fase successiva alla sentenza in cui, in un termine perentorio definito dal giudice non inferiore a sessanta giorni e non superiore a centocinquanta, è ancora possibile aderire (art. 840 septies c.p.c.).
Nella medesima fase, viene predisposto, ad opera del rappresentante comune designato dal Giudice, il “Progetto dei diritti individuali omogenei degli aderenti”: il modello di riferimento è sostanzialmente quello del piano di riparto del rito fallimentare.
La ratio di questa norma è quella di concentrare la tutela del maggior numero di persone possibile in un’unica procedura.
Contemporaneamente, si sollecita il concentramento dei contenziosi che potrebbero altrimenti moltiplicarsi sulla scia della sentenza favorevole alla classe.
b) La permanenza del filtro di ammissibilità. Un paletto fondamentale per la sostenibilità dell’azione da parte delle imprese.
Nella nuova riforma rimane il filtro di ammissibilità (art. 840 ter c.p.c.): il legislatore è ben consapevole dell’importanza di evitare l’abuso del ricorso ad uno strumento così delicato come quello della class action.
Non bisogna dimenticare, infatti, che un’azione di classe, per le sue dimensioni e l’eventuale eco mediatica, può cagionare danni (per esempio quello all’immagine di un’impresa) anche a prescindere dalla sua fondatezza.
Su questo punto, tra l’altro, si gioca anche la reale idoneità dell’azione di classe a stimolare un mercato virtuoso.
In altre parole, è certamente giusto che le imprese adottino modelli di comportamento e compliance il più possibile idonei ad evitare di subire un’azione di classe.
Ciò comporta un effetto positivo per il mercato: di fatto, le imprese saranno portate ad alzare il livello qualitativo della loro condotta sul mercato.
La sostenibilità di questo sistema trova però uno dei pilastri fondamentali nell’esistenza del filtro di ammissibilità che ha l’obiettivo di eliminare il rischio di azioni manifestamente infondate.
Se non ci fosse il filtro, le aziende dovrebbero mettere in conto il rischio di subire azioni manifestamente infondate e comunque idonee ad arrecare un danno all’impresa convenuta.
Di fatto, l’attività delle imprese risulterebbe ingiustamente rallentata e ai limiti dello stallo.
L’esistenza di un filtro rappresenta uno degli esempi di come, nella riforma dell’azione di classe, il legislatore abbia voluto cercare elementi di equilibrio tra i diversi interessi in gioco.
Un altro esempio è fornito dall’art. 840 quinquies c.p.c., nella parte in cui (5° e 6° comma) viene stabilito che, su istanza motivata del ricorrente (contenente l’indicazione di fatti e prove ragionevolmente disponibili dalla controparte), «il giudice può ordinare al resistente l’esibizione delle prove che rientrano nella sua disponibilità».
Ebbene, per evitare che l’impresa convenuta debba subire un’azione con carattere meramente esplorativo e sprovvista di prove, la norma specifica che l’esibizione deve essere limitata e proporzionata alla decisione e che la domanda deve comunque essere supportata da fatti e prove disponibili.
c) Le tre finestre di accesso all’azione di classe. I diversi ruoli in campo.
La scelta dell’opt-in sui generis.
Una delle più importanti novità della riforma è senz’altro la scelta di individuare tre “finestre endoprocessuali” che consentono l’ampliamento del numero dei ricorrenti o degli aderenti.
- La prima finestra, entro 60 giorni dalla data di pubblicazione del ricorso nell’area pubblica del portale: le azioni di classe proposte in questo termine sono riunite all’azione principale.
Dunque, siamo in un momento in cui viene definita la platea di ricorrenti che potranno definire la strategia processuale e servirsi di tutti gli strumenti a loro riservati dalla riforma.
Decorsi i 60 giorni, non possono essere proposte ulteriori azioni di classe basate sugli stessi fatti e nei confronti del medesimo resistente (art. 840 quater c.p.c.);
- La seconda finestra, entro il termine fissato dal giudice nell’intervallo di tempo che va dai 60 a 150 giorni dalla pubblicazione dell’ordinanza di ammissibilità sul portale (art. 840 quinquies c.p.c.): in questo termine, è possibile aderire all’azione di classe per i terzi portatori di diritti individuali omogenei. La norma specifica, ad eliminazione di ogni equivoco, che «l’aderente non assume la qualità di parte e ha diritto ad accedere al fascicolo informatico e a ricevere tutte le comunicazioni a cura della cancelleria».
Coloro che aderiscono in questa fase hanno un importante potere previsto dall’ultimo comma dell’art. 840 bis c.p.c.: nel caso in cui, a seguito di accordi transattivi, vengano meno del tutto le parti ricorrenti, viene fissato un termine dal tribunale (non inferiore a 60 giorni e non superiore a 90 giorni) in cui almeno uno degli aderenti ha la possibilità di proseguire la causa.
Questo punto è importante perché attribuisce agli aderenti la possibilità di sostituirsi ai ricorrenti nel caso in cui questi decidano di addivenire ad accordi transattivi.
Questa norma può, di fatto, concretizzarsi in uno stimolo per i membri della classe ad aderire in questa fase e non in quella successiva alla sentenza.
Al contempo, impedisce che i ricorrenti siano arbitri esclusivi del destino dell’azione.
- La terza finestra, entro il termine fissato dal giudice nell’intervallo di tempo che va dai 60 a 150 giorni dalla pubblicazione della sentenza sul portale (art. 840 sexies c.p.c.): in questo termine, successivo alla sentenza di condanna, viene data la possibilità ai terzi portatori di diritti individuali omogenei, di aderire all’azione (secondo le modalità previste dall’art. 840 septies c.p.c.).
Sarà il rappresentante comune nominato dal giudice ad avere «il potere di rappresentare l’aderente e di compiere nel suo interesse tutti gli atti, di natura sia sostanziale sia processuale, relativi al diritto individuale omogeneo esposto nella domanda di adesione».
Quello appena indicato, così come tutta la fase successiva alla sentenza di condanna, rappresenta probabilmente l’elemento più innovativo della Legge 31/2019.
Diversi ruoli in campo.
Volendo forzare un’immagine calcistica, possiamo immaginare ai membri della classe come ad una grande rosa di una squadra di calcio divisa tra:
a) i giocatori titolari (i ricorrenti) che entrano in campo e danno il loro contributo per incidere con il resto della squadra sull’esito della partita;
b) coloro che stanno in panchina (gli aderenti della seconda finestra), i quali non incidono direttamente sull’esito della partita ma che sono pronti, a certe condizioni, a sostituire i giocatori in campo;
c) i giocatori in tribuna (gli aderenti della terza finestra), che sostanzialmente, pur facendo parte della squadra, stanno a guardare la partita avvalendosi degli eventuali vantaggi della vittoria su cui non avranno avuto alcuna incidenza.
Abusando ancora di questa immagine, va da sé che qui sono i giocatori a decidere quale ruolo ricoprire ed è altrettanto evidente che l’esito dell’azione dipende anche da quante persone o imprese decidono di scendere in campo.
Opt-in sui generis
Da tutto il quadro sopra delineato, emerge chiaramente un sistema di opt-in sui generis in cui i membri della classe sono chiamati a scegliere attivamente ed esplicitamente di aderire alla class action ma, come abbiamo detto, possono farlo con diversi strumenti e ruoli, a seconda del momento in cui decidono di depositare la loro adesione.
Le transazioni.
La riforma sull’azione di classe contenuta nella L. 31/2019, a differenza di quella precedente, dimostra che il legislatore ha maturato un elemento importante di consapevolezza: in tutti i sistemi in cui vige (e funziona) il modello della class action, gli accordi transattivi svolgono un ruolo fondamentale.
Nella legge in questione, vi sono diverse norme in cui si contempla l’ipotesi in cui, in tutte le fasi del processo, intervengano accordi transattivi tra le parti.
Addirittura, l’art. 840 quaterdecies c.p.c. è rubricato: «Accordi di natura transattiva».
In questa sede, ci si limita a sottolineare il ruolo rilevante e attivo che la legge conferisce al Tribunale che, «fino alla discussione orale della causa, formula ove possibile, avuto riguardo al valore della controversia e all’esistenza di questioni di facile e pronta soluzione di diritto, una proposta transattiva o conciliativa».
Per quanto concerne la fase successiva alla sentenza, viene attribuita una facoltà simile al rappresentante comune, il quale «nell’interesse degli aderenti, può predisporre con l’impresa o con l’ente gestore di servizi pubblici o di pubblica utilità uno schema di accordo di natura transattiva»: è interessante rilevare come, anche in questa ipotesi, venga attribuito un ruolo centrale al giudice delegato che, all’esito di specifica procedura prevista nella riforma, «avuto riguardo agli interessi degli aderenti, può autorizzare il rappresentante comune a stipulare l’accordo transattivo».
5. Prospettive di successo della nuova legge legate all’accettazione “culturale” della class action.
La nuova legge è certamente idonea ad avere un impatto rilevante sul nostro ordinamento giuridico.
Ma sarebbe un errore verificarne gli effetti soltanto da un punto di vista del diritto e non anche sotto il profilo delle sinergie fisiologiche che si verranno a creare e a rafforzare tra la dimensione giuridica dell’istituto e le sue implicazioni sulle dinamiche del mercato.
Sarà interessante verificare la capacità di questo strumento, sostanzialmente nuovo, di convivere con altri strumenti e riti già contemplati e tradizionalmente radicati nel nostro ordinamento (nelle modalità di una normale azione collettiva) a cui i membri della classe potrebbero ricorrere con maggiore “serenità”.
E sarà interessante verificare come, proprio in base alla convivenza con altri istituti in alcuni settori, le imprese implementeranno modelli di compliance differenti.
Si pensi, soltanto per fare un esempio, al settore delle telecomunicazioni in cui la presenza di sistemi sempre più collaudati di ADR dovrebbe fisiologicamente ridurre il numero di azioni di classe: ciò per la semplice ragione che i consumatori hanno già a loro disposizione strumenti di tutela facilmente accessibili e non hanno bisogno di unirsi per far valere le loro ragioni.
Ma è fondamentale rilevare come il successo della class action in Italia dipenderà dalla capacità di tutti gli addetti ai lavori, reinterpretando il loro ruolo, di accettare (rectius, abbracciare) un cambiamento che è, prima di tutto, culturale.
A tale scopo, mi preme sottolinare come, alla base della riforma in esame, vi sia la convinzione per cui l’azione di classe, ove correttamente ed efficacemente inserita nel nostro ordinamento, potrà realizzare un punto di sinergia perfetta tra l’art. 3 e l’art. 24 della Costituzione: il legislatore, infatti, fornisce lo strumento della class action anche al fine di rimuovere gli squilibri e ostacoli di varia natura (per esempio, economici) che non consentono di garantire l’eguaglianza sostanziale dei cittadini nell’esercizio del diritto di difesa.
Avv. Alfonso Bonafede
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Il convegno ha offerto molti spunti interessanti:
- nella parte delle Relazioni che hanno riguardato la disciplina delle azioni collettive, a partire dai principi fondamentali (Prof.ssa Avv. Marilisa D’Amico, Università di Milano), passando dal ruolo del Giudice amministrativo (Cons. Dario Simeoli, Consiglio di Stato) e concludendo sull’esperienza europea e le sue evoluzioni (Avv. Carmelo Fontana, Google).
- nel Workshop, introdotto e coordinato dal Prof. Avv. Edoardo Raffiotta (Università di Milano-Bicocca), in cui sono stati messi a confronto diversi punti di vista e differenti esperienze concrete da parte di imprese (Avv. Domenico Durante, Plenitude; Avv. Michele Laurino, eBay, Avv. Francesco Pergolini, Vodafone), degli studi legali (Avv. Sara Lembo, Bonelli Erede) e delle associazioni dei consumatori (Avv. Paolo Martinello, Altroconsumo).