La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 9691 del 24 marzo 2022, ha accolto il ricorso contro la sentenza della Corte d’Appello di Roma che aveva fatto decadere dalla responsabilità genitoriale una donna accusata di avere cagionato nel proprio figlio la cosiddetta “sindrome da alienazione parentale”.
La “Sindrome da alienazione parentale”.
La “sindrome da alienazione parentale” rappresenta una tematica molto dibattuta nel settore degli affidamenti dei minori a seguito di separazione dei genitori.
In buona sostanza, la problematica in questione potrebbe essere così sintetizzata: uno dei genitori (c.d. “alienante”) mette in atto una serie di comportamenti denigratori nei confronti dell’altro genitore (c.d. “alienato”) fino al punto di generare nel figlio minorenne la convinzione che la frequentazione con il genitore “alienato” sia dannosa o comunque da evitare.
A proposito del rapporto che si instaura in questi casi tra il minore e il genitore “alienante”, qualche giudice di merito ha fatto riferimento al c.d. “patto di lealtà”: tale rapporto viene inquadrato come patologico nella misura in cui si concretizza in una sorta di condizionamento psicologico finalizzato ad “alienare” l’altro genitore dal rapporto con il figlio.
L’orientamento della Corte di Cassazione.
Nel corso degli anni, il concetto di PAS si è fatto strada in alcune pronunce giudiziarie italiane: nella maggior parte dei casi, ciò è avvenuto grazie all’adesione del giudice di merito alle conclusioni del perito incaricato.
Questo è un punto centrale per comprendere la posizione della Corte di Cassazione, la quale ribadisce nell’ordinanza n. 9691/2022 che non può esserci un’adesione, non giudizialmente corroborata, dei giudici di merito alle conclusioni del perito incaricato.
In altre parole, vista la delicatezza dei diritti in questione, la Corte conferma la necessità di un approccio rigoroso che impone alle Corti di merito di analizzare in maniera specifica, attraverso l’escussione delle prove, i fatti oggetto di contenzioso e, conseguentemente, di individuare quale sia l’equilibrio migliore da realizzare nell’interesse del minore.
Non è una novità. Già in passato, la Corte di Cassazione era intervenuta per chiarire comunque la necessità, per il giudice di merito, di compiere accertamenti che in concreto confermassero o meno se vi fosse stata la condotta lesiva dei diritti del figlio (per esempio, Cass., 08.03.2013, n. 5847 e Cass., 08.04.2016, n. 6919).
La centralità del diritto alla bigenitorialità.
Alla luce della diffusione in internet di titoli che potrebbero essere fuorvianti, bisogna specificare che la Corte ribadisce, ovviamente, la centralità del diritto del figlio alla bigenitorialità.
La Corte chiarisce, infatti, ancora una volta che «tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena (Cass., n. 6919/16; Cass. n. 7041/13)».
Ed ancora. Viene specificato che «questa Corte di legittimità ha più volte affermato che, nell’interesse superiore del minore, va assicurato il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, nel dovere dei primi di cooperare nell’assistenza, educazione ed istruzione (Cass., n. 28723/20; n. 9764/19; n. 18817/15; n. 11412/14)».
Dunque, non viene messa in dubbio la centralità della bigenitoralità come elemento fondamentale per la crescita equilibrata e serena del figlio e, conseguentemente, non viene nemmeno messo in dubbio che ogni genitore deve comportarsi in maniera tale da preservare tale diritto.
In ordine all’importanza della bigenitorialità, la Corte di Cassazione richiama anche le decisioni della Corte EDU che, «chiamata a pronunciarsi sul rispetto della vita familiare di cui all’art. 8 CEDU, pur riconoscendo all’autorità giudiziaria ampia libertà in materia di diritto di affidamento di un figlio di età minore, ha precisato che è comunque necessario un rigoroso controllo sulle “restrizioni supplementari”, ovvero quelle apportate dalle autorità al diritto di visita dei genitori, e sulle garanzie giuridiche destinate ad assicurare la protezione effettiva del diritto dei genitori e dei figli al rispetto della loro vita familiare, di cui all’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, onde scongiurare il rischio di troncare le relazioni familiari tra un figlio in tenera età ed uno dei genitori (Corte EDU, 4 maggio 2017, Improta c/Italia; Corte EDU, 23 marzo 2017, Endrizzi c/Italia; Corte EDU, 23 febbraio 2017, D’alconzo c/Italia; Corte EDU, 9 febbraio 2017, Solarino c/Italia; Corte EDU, 15 settembre 2016, Giorgioni c/Italia; Corte EDU, 23 giugno 2016, Strumia c/Italia; Corte EDU, 28 aprile 2016, Cincimino c. Italia).
La Corte EDU, di norma, e condivisibilmente, invita le autorità nazionali ad adottare tutte le misure atte ad assicurare il mantenimento dei legami tra il genitore e i figli, affermando che “per un genitore e suo figlio, stare insieme costituisce un elemento fondamentale della vita familiare” (Kutzner c. Germania, n. 46544/99, CEDU 2002) e che “le misure interne che lo impediscono costituiscono una ingerenza nel diritto protetto dall’art. 8 della Convenzione” (K. E T. c. Finlandia, n. 25702/94, CEDU 2001)».
Le vicende sottoposte all’attenzione dei nostri tribunali sono molteplici e varie e non possono essere omologate perché sappiamo che ogni vicenda (soprattutto nella materia in questione) ha connotati reali specifici che difficilmente consentono generalizzazioni.
I possibili limiti alla bigenitorialità nell’interesse della prole.
Altro passaggio fondamentale dell’ordinanza n. 9691 è quello in cui la Corte di Cassazione censura la scelta della Corte di Appello di disporre la decadenza della responsabilità genitoriale della madre poiché non vi sarebbe stato un ponderato bilanciamento degli interessi in gioco.
Una decisione così drastica, destinata a provocare una «immediata sofferenza per il bambino con le relative conseguenti ripercussioni sul suo futuro», deve essere attentamente ponderata: la Corte sottolinea l’importanza di operare, caso per caso, un «difficilissimo bilanciamento» tra gli effetti immediati delle decisioni e la loro incidenza sulla prospettiva futura del minore.
Vale la pena di citare un passaggio dell’ordinanza sulla possibilità di porre un limite alla bigenitorialità per evitare un trauma per il minore: «occorre verificare se le ragioni poste a sostegno del decreto impugnato abbiano fatto buon governo delle suddette norme in ordine alla finalità di realizzare il diritto alla bigenitorialità e dunque il miglior interesse del minore che costituisce la ratio sottesa ad ogni statuizione sull’affidamento dei minori e se, in ogni caso, la legittima e doverosa realizzazione della stessa bigenitorialità possa o meno incontrare, nel caso concreto, un limite nell’esigenza di evitare un trauma, anche irreparabile, allo sviluppo fisico-cognitivo del minore, ormai dodicenne, rappresentato dall’ablazione totale e definitiva della figura materna dalla sua vita, conseguente alla decadenza dalla responsabilità genitoriale della M.».
Nel caso in questione, è evidente che secondo la Corte il comportamento (certamente sbagliato) della madre non giustificava la decisione (eccessivamente traumatica per il minore) di far decadere la donna dalla responsabilità genitoriale.
E certamente – questo è un punto fondamentale – non poteva essere giustificata sulla base del riferimento generico alla sindrome da alienazione parentale richiamata dalle perizie.
E’ importante ribadire, a costo di essere ripetitivi, che ogni vicenda familiare rappresenta una storia a parte i cui elementi giuridici, valutati caso per caso dal giudice, potranno portare a decisioni differenti.
Il richiamo “illegittimo” alla sindrome d’alienazione parentale come fondamento per provvedimenti gravemente incisivi per il minore.
Va sottolineata la particolare fermezza della Corte di Cassazione nello stabilire che i giudici di merito non possono limitarsi ad un richiamo alla sindrome dell’alienazione per giustificare provvedimenti che incidono in maniera grave nella vita del minore.
Si afferma infatti che «Il richiamo alla sindrome d’alienazione parentale e ad ogni suo, più o meno evidente, anche inconsapevole, corollario, non può dirsi legittimo, costituendo il fondamento pseudoscientifico di provvedimenti gravemente incisivi sulla vita dei minori, in ordine alla decadenza dalla responsabilità genitoriale di uno dei genitori».
Sembra quasi che la Corte di Cassazione, negando di fatto il fondamento scientifico della PAS, abbia voluto ancora una volta censurare lo scivoloso trend socio-giuridico che porterebbe ad omologare l’attività del giudice attraverso il ricorso a categorie addirittura estranee alla scienza del diritto.
Il rischio sarebbe quello di incanalare (in virtù del richiamo generico al concetto di PAS) sotto la stessa etichetta dalle sembianze scientifiche molteplici situazioni in realtà molto differenti tra di loro che necessitano di soluzioni diverse.
Pertanto, solo attraverso la valutazione del Giudice, che si deve basare su costrutti e indagini puramente di stampo fattuale e in ambito giudiziario (compreso l’ascolto del minore) e che non deve mai tradursi in una delega del giudizio ad esperti delle scienze psicologiche, si potrà giungere eventualmente anche ad un provvedimento di decadenza della responsabilità genitoriale.
Brevi conclusioni.
E’ opinione di chi scrive che l’ordinanza in esame rappresenti un ulteriore tappa di quel percorso, più volte tracciato dalla Corte, che porta ad affermare (soprattutto in matteria di affidi) la necessaria capacità del diritto, attraverso le decisioni giudiziarie, di realizzare una sintesi degli interessi in gioco motivata dalle risultanze processuali.
E certamente è escluso che si possa aderire a categorie astratte, legittimamente elaborate dai periti, ma non vagliate attraverso il doveroso filtro dell’attività istruttoria. Il riferimento all’importanza del rigore del percorso processuale che porta alla decisione giudiziaria, lungi dall’essere soltanto metodologico, attiene come sempre anche alla effettività sostanziale della tutela dei diritti.
L’ordinanza esaminata rappresenta anche lo spunto per ricordare ciò che, in realtà, potrebbe e dovrebbe essere scontato: i contenziosi relativi agli affidi, a seguito di accertamento giuridico e fattuale (con il contributo, è ovvio, di tutti i periti necessari le cui risultanze devono però filtrate e vagliate dal giudice), non necessitano di richiami a categorie generiche ed estranee al diritto; è più che sufficiente che vengano semplicemente decisi, con rigore giuridico, all’interno di quei binari e di quel perimetro che il diritto italiano (processuale e sostanziale) e quello internazionale già delineano e configurano dando totale e inderogabile centralità alla piena realizzazione dei diritti dei minori.
Avv. Alfonso Bonafede – Avv. Maria Petrini
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